Nella città siriana il neocaliffato mostra appieno le ambizioni di Stato. Dalla polizia agli ospedali, passando per la giustizia, le tasse, i forni e la propaganda, il gruppo di al-Baghdadi ha messo in piedi una struttura spietata e capillare. Che però mostra già alcune crepe. Un estratto da “Chi ha paura del califfo”, il nuovo numero di Limes
Kallinikos: è questo il nome con cui era conosciuta nel III secolo a. C. la città di Raqqa, nel nord della Siria, dal nome del suo fondatore, il re seleucide Seleuco II Callinico. Dopo essere diventata un forte militare romano per passare poi sotto il dominio bizantino, la città fu conquistata, assieme a tutta la Siria, dall’esercito musulmano guidato del secondo califfo dell’islam, ‘Umar ibn al-Hattab, nel 639 d. C.
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Ma per comprendere il forte valore simbolico di questa città per l’islam in generale e per la corrente jihadista in particolare bisogna prendere come riferimento il periodo tra il 796 e l’809 d. C., durante il quale Raqqa fu la capitale de facto del califfato abbaside guidato da Harun al-Rashid. È da qui, sulle rive dell’Eufrate (al-Furat, in arabo), che il califfo al-Ra4ød conduceva le operazioni militari contro i bizantini, i rum, ed è qui che il nuovo autoproclamato califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico (Is), ha fondato la prima entità statuale dell’organizzazione.
Raqqa è stata la prima città a cadere sotto il controllo di quelle che nel marzo 2013 erano ancora definite “forze ribelli siriane”, e ciò le valse il titolo di “sposa della rivoluzione”. Oggi sono passati due anni dalla liberazione della città dalle forze di al-Asad. La città fu conquistata dai militanti del Fronte al-Nuâra, l’ala ufficiale di al-Qaida in Siria, e da altri gruppi, che per celebrare la loro vittoria demolirono la statua dell’ex presidente siriano Hafiz al-Asad, padre dell’attuale presidente Bashar, nella piazza centrale della città. La stessa che oggi i militanti dell’Is utilizzano per esibire le teste mozzate dei loro nemici.
Come primo provvedimento, questi gruppi iniziarono ad applicare la sharia (la legge islamica) nella città. Dopo pochi mesi, l’allora Isis (Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante), in lotta contro il principale gruppo jihadista antagonista sulla scena siriana (al-Nusra), cominciò a intensificare le sue operazioni contro i miliziani di questo gruppo e le comunità non islamiche di Raqqa. Già nel gennaio 2014 l’Isis esercitava il pieno controllo militare e amministrativo su Raqqa, ad eccezione della base della 17a divisione dell’Esercito siriano. La base fu conquistata il 25 luglio dello scorso anno: i miliziani dello Stato Islamico fecero irruzione nel campo e decapitarono numerosi soldati, esibendone le teste. Questo episodio, ampiamente propagandato dall’Is, sancì il pieno controllo dell’organizzazione su Raqqa, trasformata in città Stato e da allora bersaglio dei raid lanciati dalla coalizione arabo-statunitense. Dal milione di persone iniziale, dopo la conquista dell’Is gli abitanti di Raqqa sono scesi a circa 400 mila.
“E pensare che eravamo noti per non essere praticanti: ironia della sorte”, ha dichiarato un residente di al-Tabaqa, vicino a Raqqa, citato in un articolo di Sarah Birke apparso sulla New York Review of Books. La prima misura imposta dall’Is agli abitanti rimasti a Raqqa è stata, non a caso, la pratica rigorosa della religione. Per far ciò, l’organizzazione ha preso il controllo di tutte le moschee, imposto ai “fedeli” di pregare cinque volte al giorno e ai commercianti di chiudere i negozi durante gli orari di preghiera. E ha “invitato” i cittadini a partecipare ai numerosi incontri religiosi e di propaganda organizzati negli edifici della città trasformati in centri di preghiera e propaganda.
A Raqqa l’Is ha istituito nuovi tribunali basati sulla sharia, forze di polizia che ne garantiscono l’applicazione e apparati che gestiscono l’economia, un aspetto fondamentale per la sopravvivenza dello Stato. Inoltre amministra scuola, sanità, elettricità e telecomunicazioni, nonostante alcuni servizi siano ancora garantiti dal governo siriano. In base alla rigida interpretazione salafita della legge islamica, le donne hanno l’obbligo di indossare il niqab, il velo integrale islamico che lascia scoperti soltanto gli occhi; gli uomini non possono indossare magliette con sopra dei disegni, pena l’accusa di idolatria; il fumo – di sigarette, narghilè o altro genere – è bandito. Recentemente, l’Is ha anche imposto alle donne la compagnia di un uomo mahram (ovvero, con cui siano impossibili rapporti sessuali), che secondo la sharia deve essere un parente, di sangue o acquisito, per poter uscire in città. Due donne di casa hanno riferito che sono gli sceicchi sauditi dell’Is a Raqqa a valutare l’entità delle trasgressioni morali. […]
È difficile misurare con esattezza il livello di sostegno sociale di cui l’Is gode a Raqqa, sia perché i cittadini rimasti in città (per la stragrande maggioranza musulmani sunniti) non hanno avuto altra scelta che giurare fedeltà ad al-Baghdadi, sia perché a Raqqa è mancato uno scenario iracheno, in cui i gruppi sunniti si sono alleati con la formazione jihadista contro il governo a guida sciita. Inizialmente, gli abitanti locali si sono più volte lamentati degli eccessi dello Stato Islamico, ma alcuni si sono compiaciuti del fatto che, nonostante il rigore, in città non vi fossero più corruzione e caos: si tratta per lo più di persone che hanno in qualche modo tratto beneficio economico dalla presenza dell’Is a Raqqa. […]
Per rafforzare il controllo su Raqqa, l’Is ha iniziato lo scorso anno a intensificare le intimidazioni agli attivisti locali, per indurli al silenzio. A molti sono arrivati messaggi come: “Vi daremo un biglietto per l’inferno”, scrive Ilaf. Per sfuggire a queste restrizioni della libertà d’espressione, numerosi attivisti hanno lasciato Raqqa alla volta della vicina Turchia. Sono questi “giornalisti improvvisati ” a rappresentare la principale fonte d’informazione per i media occidentali su quanto sta accadendo nella città. Il pragmatismo dell’Is a Raqqa si è palesato chiaramente nell’amministrazione dei servizi municipali.
Al riguardo, il gruppo ha “assunto” esperti tecnici nei vari settori, sostituendosi al governo di Damasco nella fornitura di servizi e posti di lavoro. L’Is ha permesso agli insegnanti delle scuole di continuare a esercitare la propria professione, intervenendo però sul percorso degli studi, eliminando materie come la chimica, la filosofia e la lingua francese e introducendo le materie islamiche. Nell’ambito sanitario, l’Is ha sostituito i medici degli ospedali di Raqqa con i propri dottori, definiti “emiri di medicina generale”. Inoltre, seguendo il modello delle due polizie religiose (la Hisba per gli uomini, la brigata al-Hansa per le donne), all’interno degli ospedali ha imposto la separazione tra uomini e donne, introducendo l’obbligo del niqåb alle donne e alle dottoresse, che possono curare soltanto pazienti di sesso femminile. Come segnala il quotidiano saudita al-Wi’am, l’abilità dell’Is nell’amministrare Raqqa è stata anche quella di mantenere alcuni funzionari locali che ieri lavoravano per lo Stato siriano e che oggi sono al servizio dello Stato Islamico. Ciò non ha impedito all’Is di richiamare a Raqqa esperti dal Nordafrica e dall’Europa, come nel caso di un tunisino nominato responsabile delle telecomunicazioni. Per facilitare il controllo del territorio, l’Is ha diviso l’area amministrativa di Raqqa in settori, come confermano alcuni abitanti locali a Syria Deeply. I numerosi attivisti fuggiti in Turchia o in altri paesi paragonano spesso i metodi repressivi dell’organizzazione a quelli del regime di Bashar al-Asad, in particolare nell’ambito del monitoraggio della popolazione. Non avendo l’Is, fino ad oggi, la possibilità di intercettare i telefoni e il traffico Internet, che resta sotto controllo di Damasco, ha dispiegato a Raqqa molti uomini incaricati di sorvegliare i cittadini. Molti abitanti della città hanno rivelato di aver cancellato foto e musica dai propri telefoni per paura di essere arrestati. Abu Hamza, siriano ed ex membro dell’apparato d’intelligence dell’Is, ha riferito che tra i reclutatori dell’Is a Raqqa vi era un cittadino islandese esperto in video editing, tra i responsabili della produzione di filmati per il reclutamento e la propaganda. Secondo Hamza, a Raqqa tra le file dell’Is vi sarebbero anche cinesi esperti di droni e hackers egiziani. Fonti di Raqqa hanno confermato ad al-Wi’am che nella città l’Is gestisce tre fabbriche di armi e missili, impiegando scienziati stranieri.
A Raqqa l’Is sta ponendo la massima attenzione alle nuove generazioni. In particolare, gli addestratori stanno formando i bambini e i ragazzi alla dottrina islamica salafita e all’uso delle armi. Abu Ibrahim al-Raqqawi, attivista di “Raqqa Is Being Slaughtered Silently”, ha riferito 12 che nella provincia di Raqqa vi sono almeno tre campi di addestramento ideologico e militare riservati ai bambini e ai ragazzi molto giovani, detti “leoncini”: i campi al-Halifa e al-Faruq, nella città di Raqqa, e quello di al-3arø’a, ad al-¡abaqa. Spesso i genitori sono obbligati a mandare i loro figli in questi campi, in cambio di un rimborso di oltre 200 dollari. Oltre all’ideologia jihadista e all’uso delle armi, ai leoncini del jihad vengono impartite lezioni di religione e arti marziali, proprio come accade nelle fasi di addestramento dei mujahidin adulti. Nel campo al-Faruq, i bambini vengono addestrati anche a decapitare le vittime. Di recente, l’Is ha inaugurato due scuole inglesi a Raqqa: una per studenti di sesso maschile, l’altra di sesso femminile. La scuola maschile si chiama Scuola Abû Mus’ab al-Zarqawi, in onore del fondatore dell’organizzazione jihadista nota come Stato Islamico in Iraq, realtà embrionale dell’Is; quella femminile Scuola ‘Aisha. Vi possono accedere i ragazzi di età compresa fra i 6 e i 14 anni figli dei foreign fighters, che non comprendono ancora l’arabo. Dunque, vengono loro impartite lezioni di religione, dottrina islamica, diritto, matematica e inglese. Sono previste anche ore di lingua araba. Le scuole sono gestite da un certo Abu Muhammad.
Raqqa, oltre al suo valore simbolico, si trova in una collocazione strategica per l’Is, essendo vicina al confine con la Turchia e in prossimità dei territori iracheni sotto il controllo dell’organizzazione. Per questo, e per la sua trasformazione in città Stato, Raqqa può essere considerata la capitale de facto dello Stato Islamico, come lo fu ai tempi del califfo abbaside al-Rashid. L’Is ha trasformato in propri centri di controllo amministrativo i principali edifici della città, come il palazzo del governatore, il municipio e la chiesa armeno-cattolica dei Martiri, trasformata nel centro della da’wa (predicazione e propaganda), ed esercita il proprio controllo su estese aree limitrofe, compresi alcuni pozzi petroliferi. Molte di queste postazioni sono state obiettivo dell’aviazione statunitense e dei suoi alleati. Alcuni siriani hanno affermato di non poter fare altro che resistere in silenzio. I cittadini di Raqqa che per le strade sono costretti a rispettare le rigide norme dell’Is, all’interno delle proprie abitazioni criticano, a voce bassa, l’organizzazione di al-Baôdådø, guardano programmi televisivi non islamici e ascoltano musica. Ad oggi, per i sunniti siriani le alternative al regime di al-Asad sono due: il vuoto di potere o l’Is, come confermato da Abu Hamza. Tuttavia, le file dell’Is cominciano a mostrare segni di cedimento, soprattutto dopo l’intensificazione dei raid aerei. Attivisti del gruppo “Raqqa Is Being Slaughtered Silently”, citati dal Times, hanno riferito che a Raqqa alcuni membri dell’Is cercano di rubare le carte d’identità ai cittadini, per falsificarle e usarle per fuggire in Turchia o nelle aree non soggette al controllo dell’organizzazione. Gli stessi attivisti parlano di tensioni all’interno del gruppo tra i combattenti iracheni e quelli provenienti dalla Penisola Arabica, aggiungendo che i foreign fighters europei sono spesso sospettati di essere potenziali spie legate alle agenzie d’intelligence occidentali. È presto per dire se questi segnali preludano alla fine dell’inedito esperimento statuale, ma di certo l’Is è meno monolitico di quanto possa apparire dall’esterno
source : repubblica.it
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Fuck isis