“Siamo attivisti non violenti, non possiamo combattere il Daesh (acronimo arabo del sedicente Stato islamico, ndr) con le armi, quindi usiamo le parole. Per sconfiggerci, dovrebbero spegnere Internet, ma non lo fanno, perché loro stessi lo usano molto”. Così Abu Muhammed, tra i fondatori della rete di attivisti ‘Raqqa viene massacrata in silenzio’ (Raqqa is Being Slaughtered Silently), descrive le attività del gruppo, che dalla città diventata capitale siriana del ‘califfato’ proclamato dallo Stato islamico (Is), fa conoscere al mondo le atrocità commesse dai jihadisti.
La rete, che può contare su poche decine di attivisti, è stata fondata ad aprile del 2014, quando a livello internazionale si era quasi del tutto ignari delle decapitazioni, delle lapidazioni, delle crocifissioni e delle altre violenze commesse dall’Is. “Grazie a noi – ha spiegato un altro dei fondatori del gruppo, che usa lo pseudonimo di Abu Ibrahim al-Raqqawi – Raqqa non viene più massacrata in silenzio, il mondo intero sa cosa succede e conosce la realtà sul Daesh”.
Le informazioni, le immagini e i video di ‘Raqqa viene massacrata in silenzio’ vengono pubblicati su Twitter e su Facebook. Sul sito di micro-blogging il gruppo ha oltre 23.000 follower, sul social network ne ha 39.000. Gli attivisti raccontano le atrocità dell’Is, ma anche i danni e le vittime provocati dai raid della coalizione internazionale, insieme a informazioni sulla vita di tutti i giorni, come l’interruzione della corrente, la mancanza di acqua potabile, di cibo o di medicine.
Le loro immagini sono spesso crude, al pari di quelle diffuse dallo stesso Is. Ma il loro ruolo è vitale, spiega Hassan Hassan, coautore del libro ‘Isis: Inside the Army of Terror’, perché “non si può permettere che sia solo l’Is a raccontare la sua versione dei fatti”, perché “chi vive all’esterno non possa dire che non ci sono prove sul fatto che la gente del posto non sia contenta sotto il dominio” dell’Is e per scoraggiare i simpatizzanti dell’Is a trasferirsi nel ‘califfato’.
Per gli attivisti della rete, la vita non è facile, perché l’Is li considera una minaccia. Per le strade della città, i jihadisti controllano i cellulari dei passanti. Nelle moschee, gli imam fanno campagna ed emettono fatwa contro la rete, il cui account Twitter è stato spesso hackerato, mentre il profilo Facebook è stato chiuso più volte dai gestori, a causa delle immagini crude che pubblica. Voci non confermate parlano di telecamere a circuito chiuso installate in vari punti della città, per stanare i ‘traditori’.
Gli attivisti si muovo nella massima segretezza. Non si conoscono tra di loro, per non rischiare che, in caso di arresto e tortura di uno, venga svelata l’identità degli altri. Non rivelano neanche ai loro familiari il loro attivismo. Tramite i loro ‘complici’ nella vicina Turchia, ricevono aiuti da ong americane di cui non rivelano il nome, sempre per motivi di sicurezza.
In passato sono stati commessi errori pagati a caro prezzo. Lo scorso anno, uno dei fondatori della rete, Moataz Bilah, è stato catturato dall’Is, che ha trovato foto e video compromettenti sul suo cellulare, lo ha arrestato e lo ha ucciso. Sempre nel 2014, un altro attivista ha postato un video in cui si sentiva la sua voce e i jihadisti lo hanno rintracciato utilizzando la geolocalizzazione del video e riconoscendo la voce.
Le informazione che fornisce il gruppo sono spesso preziose, tanto che tra i loro follower ci sono giornalisti, politici e ufficiali del Pentagono. Certo, verificare l’autenticità delle loro notizie non è possibile. Ma in passato molti dei loro ‘scoop’ si sono dimostrati autentici. Come l’annuncio, lo scorso anno, di una incursione segreta delle truppe americane per liberare alcuni ostaggi, tra cui il giornalista James Foley.
L’operazione, fallita, è stata ammessa dall’amministrazione Usa solo dopo alcuni giorni. Lo stesso è accaduto quando l’Is ha catturato un pilota giordano, alla fine del 2014. La rete ha subito dato la notizia della sua uccisione, confermata dopo alcuni giorni da un video dell’Is che mostrava il pilota mentre veniva bruciato vivo, all’interno di una gabbia.
source : adnkronos.com
2 Comments
Isis has to be stopped and its people has to be killed all of them those animals
Thank you for sharing the TRUTH. Stay strong!